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Ausweg 06:20

about

Mario Lino Stancati - AUSWEG
SLV008 - Studiolo Laps 2017

Mario Lino Stancati: Composition, voice, electric devices, mixing and Mastering
Mattia Biondi: Montaggio Invisibile
Immagini tratte da:
"Dementia" di John Parker
"Dick Tracy" di William Berke
Fintan O'Brien: Registrazioni ambientali (soundcloud.com/fintanobrien)

Video: www.youtube.com/watch?v=O946af4qM1Q
AudioVisual Archive: www.studiololaps.com/audiovisual-archive.html
Studiolo Laps ___SLV008___
www.studiololaps.com

credits

released January 17, 2017

“Out of the blue and into the black”: dall’azzurro del cielo, che si riflette nella coscienza chiara della regolamentazione diurna di azioni concatenate – pensieri-forme in nome del movimento continuo, della velocità, della linea di fuga, che in un tempo vuoto sgombra l’immagine dai suoi pesi localizzandola nello stesso tempo nella cornice che struttura e dà alla traiettoria le sue coordinate, alle forme la loro coerenza di rapporti e alla vita lo scioglimento felice delle contraddizioni – segue il nero, deragliamento notturno di tutti i sensi, movimento rallentato e discontinuo, dove la materia invece di plasmarsi si accumula e si addensa, al movimento continuo e virtualmente infinito fa seguire il montaggio attrattivo-repulsivo e la vita si rivela per quello che è: situazione caotica e incongruente e aperta, guidata da un’altra intelligenza che dice “io sono due”, “io è un altro”, “mi si pensa”. Alla solidità della catena di pensieri segue allora una sensazione continua di pericolo, sconcerto e paura. E’ questa la sensazione che ci assale, perentoria, osservando il video del duo Biondi-Stancati, dove, in uno straordinario ri-montaggio (o come dice Julio Bressane, anti-montaggio), i frammenti di due dei più oscuri b movies hollywoodiani vengono fatti a pezzi e fatti deragliare: una volta disposti sul tavolo di montaggio del montatore-operatore, che è attiguo, come in una cucina alchemica, a quello del musicista-campionatore, questi pezzi cominciano a vibrare, a sfarfallare, ad aprirsi al gioco delle mille combinazioni e contraddizioni. I primi piani (quello della donna attraente; dell’uomo con la ferita sul volto; del veggente con la sfera magica o quello di una busta bianca, che sfolgora nel buio relativo come quella di Janet Leigh nel motel di Psycho - e non si tratta, qui, di un gran Bates Motel Ivre della memoria?); le azioni concertate (il gruppo di persone che ridono, come in un inserto narcotizzato alla Woolrich) o iconiche (la ragazza-anadiomene che invece di affiorare precipita nell’onda nera che si chiude, all’indietro, sopra di lei inghiottendola), insomma gli oggetti, i visi, i gesti, detournati, privati come sono della logica della consequenzialità che nel film di partenza li costringeva ad intreccio e intenzione (“il tedio di una storia da narrare” per Valery) vengono ricondotti alla loro potenza originaria ed essenziale di ready-made, al grumo nero dei rapporti senza scopo e alla loro suggestione segreta. Il found-footage, pratica antica di cinema artigianale fatto con quello che si ri-trova (perché si trova sempre e solo una seconda volta), ci riconsegna un mondo infelice, fuori di sesto, rischioso, dove il fuori immagine, l’assoluto continuo è il commento sonoro. Adopero questa parola volentieri, se di commento se ne fa una accezione scolastica, medioevale, intesa come accumulo libero di un deposito fertile, metafisica musicale al lavoro che permette, delirante nell’affannosa ricerca di rapporti nascosti, che qualcosa di segreto venga alla luce: immagini perdute ritornano – non si dice così dei fantasmi, morti ritornanti? – , ma il lenzuolo bianco che li riveste e gli permette di circolare redivivi è la musica, sudario opalescente lisergico che avvolge e annienta, riveste ridando corpo e spessore al troppo leggero e al quasi niente, rimpolpa e impingua, tridimensiona con vibrazioni devastanti (musica terza dimensione del film), riuscendo nella metamorfosi eccentrica di corpo filmico-umbratile in corpo fonico-glorioso, permettendo durata e sparizione. Giovanni Festa


Giovanni Festa è storico dell’arte, critico cinematografico e romanziere. Si laurea prima in DAMS Cinema e poi in Storia dell’arte all’Università di Bologna. Nel 2015 consegue il dottorato di ricerca presso la Scuola Dottorale Internazionale di Studi Umanistici dell’Università della Calabria. Collabora con le riviste Filmcritica, Fata Morgana e la rivista on line Uzak. Ha scritto per Fellini Amarcord e la rivista messicana di filosofia Reflexiones Marginales. Fra i suoi testi: Il Cavaliere e la Donzella, itinerari labirintici di un archetipo figurativo (Aracne), il libro collettaneo Per un Cinema del Reale (Forum ed.), i cataloghi d’arte Paolo de Matteis, un cilentano in Europa (Paparo ed.) e Pathos e Estasi le impronte di Caravaggio nella Napoli del ‘600 (Tipografie Zaccara ed.), il romanzo Hostage City (Eracle) e il monologo per il teatro La Ferita Risanata (Aletti). Attualmente vive a Città del Messico.

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